Intervista di Giovanni Masciola a Donatello Bellomo sul “Giornale di Brescia” del 7 agosto 2021.
È uscito per i tipi de Il Cerchio iniziative editoriali «Céline. La centounesima notte», di Donatello Bellomo. (239 pagine, 26 euro). Vi è anche l’audiolibro, letto da Isabella Caserta, Teodoro Giuliani e dallo stesso Bellomo, che dà voce a Céline.
Abbiamo intervistato l’autore, ch’è giornalista, romanziere, saggista, poeta, guest writer del Louis Vuitton Trophy, già vincitore dei premi Circeo, Tuscania e Gaeta.
Bellomo: nel sessantesimo della morte del grande autore, la cronaca di un giorno a Meudon, «un gomito di terra, alto quel tanto che basta per essere fuori da Parigi», dove Céline ha vissuto gli ultimi dieci anni…
Io non amo gli intellettuali. Adoro leggere romanzi popolari. Da Cervantes a Rabelais, a Dumas, a Hugo, a Balzac. È l’autore che mi prende per lo stomaco e mi porta alla commozione.
Come emerge la Grande Guerra dalle pagine di «Viaggio al termine della notte»…
La guerra è tutto ciò che non riesco a capire. È la follia di un intero continente le cui frange opposte si aiutano a girare la manovella del tritacarne. E la guerra è anche la «trève de Noel», la tregua di Natale, quando tedeschi e francesi cantavano le canzoni di Natale e qualcuno è uscito dalle trincee e in tanti si sono abbracciati. Giocarono persino a calcio e si scambiarono doni. Fu un impazzimento che durò quattro anni, che proseguì con le folli sanzioni imposte a Versailles alla Germania e che furono la culla termica del nazismo.
Come si comportò in realtà il sergente dei corazzieri Destouches?
Da eroe, nonostante quello che abbia scritto. Il giornale l’Illustrée nationale gli dedica una copertina in occasione del conferimento della medaglia al valor militare. Restò invalido al 70 per cento.
Le feroci polemiche con Sartre ed il conseguente isolamento pesarono molto su di lui…
È stato l’uomo più odiato di Francia. Fu salvato dalla condanna a morte perché il suo avvocato omise il secondo nome, Ferdinand, e quindi gli diedero la grazia, non riconoscendolo dalle carte. Ha scritto tre libelli disgustosi, inaccettabili, ma nulla è stato trovato a suo carico contro gli ebrei e la Resistenza. Era un medico straordinario, che non prescriveva farmaci, ma regole di una vita sana. Pagava di tasca propria le medicine per i pazienti più poveri. E se visitava un bimbo non voleva essere pagato. Era un medico di grandissimo valore.
Chi era Roger Nimier?
È stata una delle più brillanti intelligenze del secondo dopoguerra. Portò Céline da Gallimard e lo rilanciò sul piano editoriale. Sceneggiatore, autore dei dialoghi di film di Antonioni e Louis Malle, morì a 37 anni sulla sua Aston Martin.
Che compagna fu Lucette?
Ci sono tre tipi di donne. Quella che ti dà la vita. Quella che te la insegna. E quella che ti chiude gli occhi. Cèline ha resistito gli ultimi quindici anni solo perché aveva al fianco una figura così straordinariamente solare. Lei non lo lasciò mai. Lo seguì a Baden Baden, Sigmaringen ed in Danimarca, credendolo morto per mesi.
Quale fu il rapporto con la figlia Colette?
Affettuosissimo. Era geloso e possessivo. Non volle conoscere i nipoti. Tuttavia restarono uniti fino all’ultimo giorno.
Come si rapportava Colette con le diverse compagne del padre?
Era stata profondamente legata ad Elizabeth Craig, cui Céline dedicò il Voyage. Per gelosia osteggiò in tutti i modi Lucette Almansor.
Quanto ha inciso la cifra stilistica di Céline sulla letteratura del Novecento?
La letteratura europea del Novecento senza di lui sarebbe morta per mancanza di sangue. La sua cifra è irripetibile perché tale è il suo stile. Diceva che la trama non conta, ogni androne è pieno di storie, quello che conta è, appunto, lo stile. Diceva: sono un artigiano che lavora per ore per trovare le parole giuste. Céline affermava che prima di lui il romanzo era scritto con lo stile dei gesuiti e dei notai. Non c’era nulla che odorasse, profumasse o puzzasse di vita.